Monthly Archives: luglio 2014

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Davvero l’industria farmaceutica ha abbandonato la ricerca in psichiatria?

Antonio Maone

Da Nature, Dicembre 2011: “Anche la Novartis, come altre grandi aziende farmaceutiche, sta abbandonando i programmi tradizionali di ricerca finalizzati a individuare trattamenti per i disturbi mentali. Nature ha appreso che l’azienda sta chiudendo i laboratori di neuroscienze a Basilea (Svizzera).

Decisioni analoghe sono state prese dalla GlaxoSmithKline e dalla Astrazeneca, che l’anno scorso hanno annunciato la chiusura di tutte le loro divisioni di ricerca nelle neuroscienze. Anche le companies con sede negli USA Pfizer e Merck, così come la francese Sanofi, hanno rinunciato alla ricerca sui farmaci psicotropi. […]

Individuare e sviluppare farmaci per il sistema nervoso centrale è diventata un’attività ad alto rischio, con molte molecole che vengono abbandonate dopo anni di costosi trial clinici. Il mercato è già inondato di antidepressivi generici e a buon mercato, antipsicotici e altri farmaci che agiscono su target noti, prevalentemente recettori di neurotrasmettitori. Ciò ha indotto le companies a cercare target radicalmente nuovi, ma la ricerca si è rivelata difficile, dato che poco è noto della biologia del cervello e dei suoi disturbi.

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Una psichiatria al di là dell’attuale paradigma*

Pat Bracken**, Philip Thomas***, Sami Timimi**** et al.

Tratto da: Psicoterapia e Scienze Umane, 2013, XLVII, 1: 9-22   www.psicoterapiaescienzeumane.it  –  Articolo originale: Psychiatry beyond the current paradigm. British Journal of Psychiatry, 2012, 201, 6: 430-434

Cosa fa di uno psichiatra un bravo psichiatra? Quali specifiche abilità sono necessarie per praticare una “medicina della mente”? Sebbene sia impossibile rispondere in maniera esauriente a simili domande, riteniamo ci siano prove sempre più abbondanti del fatto che una buona pratica psichiatrica richieda in primo luogo un impegno con le dimensioni non tecniche del nostro lavoro, per esempio quelle relazionali, quelle che si rivolgono ai significati e ai valori.

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Come funzionano gli psicofarmaci? (I)

Antonio Maone*

Joanna Moncrieff (Department of Psychiatry and Behavioural Sciences, University College di Londra) si è occupata in particolare degli effetti dei farmaci psicotropi. Ha condotto meta-analisi per la Cochrane Collaboration ed è co-fondatrice e chair di Critical Psychiatry Network. E’ autrice di molte pubblicazioni, fra le quali i libri The Bitterest Pills: The Troubling Story of Antipsychotic Drugs (2013) e The Myth of the Chemical Cure: A Critique of Psychiatric Drug Treatment (2009). Nel corso della sua attività ha formulato un modello esplicativo dell’azione dei farmaci psicotropi, definito drug-centred (centrato sul farmaco), alternativo a quello attualmente dominante disease-centred (centrato sulla malattia).

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Come funzionano gli psicofarmaci? (II)

Joanna Moncrieff* & David Cohen**

Articolo originale: “How do psychiatric drugs work?”, British Medical Journal, 338, 1535-1537, 2009

I farmaci utilizzati per i problemi psichiatrici vengono prescritti sulla base dell’assunto che essi agiscano principalmente sui substrati neurochimici dei disturbi o dei sintomi. In questo articolo metteremo in discussione questa assunzione, proponendo che l’azione dei farmaci venga considerata piuttosto in termini di induzione di stati alterati, e che definiamo “modello di azione centrato sul farmaco”. Riteniamo che questa visione sia, rispetto alla prima, che è centrata sulla malattia, più compatibile con le evidenze disponibili. E potrebbe permettere ai pazienti di esercitare un maggiore controllo sulle decisioni riguardanti il valore della farmacoterapia, indirizzando il trattamento in un senso più collaborativo.

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Psicofarmaci: luci ed ombre. E’ tempo di un ripensamento? Aggiornamento sugli psicofarmaci per utenti e familiari. Istituto Mario Negri, Milano, 3 giugno 2014

Barbara D’Avanzo 

Articolo pubblicato su Ricerca&Pratica, 2014 Vol. 30 N. 5 :222-232  http://www.ricercaepratica.it

Indagine su un’epidemia, di Robert Whitaker (Giovanni Fioriti Editore, 2013), ha riproposto con chiarezza alcuni paradossi del progresso in ambito psicofarmacologico, rinnovando l’insuperata e dolorosa ambivalenza di familiari e utenti rispetto alla funzione degli psicofarmaci nella cura delle malattie mentali.

Di fronte a questa ultima sollecitazione critica è arrivata ancora una volta dai familiari e dalle loro associazioni la richiesta di “capirci qualcosa”. Il Laboratorio di Epidemiologia e Psichiatria Sociale dell’IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri ha accolto questa richiesta, organizzando in collaborazione con l’Unione Nazionale delle Associazioni per la Salute mentale (UNASAM) una giornata seminariale dedicata ad utenti e familiari in cui i nodi cruciali sono stati ripresi da diversi punti di vista.

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Gli psichiatri sono una specie in via di estinzione? (I)

Antonio Maone*

Da qualche anno si è aperto un dibattito su una possibile “crisi” della psichiatria come disciplina medica e sulla reale consistenza delle sue basi scientifiche. Non si tratta affatto di prese di posizione ideologiche attribuibili a movimenti più o meno anti-psichiatrici, bensì di voci che si sono sollevate, anzi, dall’interno del mondo accademico e professionale.

Nel febbraio 2010, un numero della rivista World Psychiatry, organo ufficiale della World Psychiatric Association (WPA), ospitava un Forum dal titolo davvero provocatorio: “Are psychiatrists an endangered species?” (Gli psichiatri sono una specie in via di estinzione?), aperto da un intervento di Heinz Katschnig, dell’Università di Vienna [1]

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Gli psichiatri sono una specie in via di estinzione? (II)

Antonio Maone*

La crisi c’è, ma è evolutiva

Lo stesso numero di World Psychiatry che ospita il Forum di cui abbiamo scritto nella prima parte, è aperto da un editoriale di Mario Maj [1], dell’Università di Napoli, e all’epoca Presidente della WPA, nel quale l’autore esordisce ammettendo che “potrebbe essere vero, come afferma Katschnig, che gli psichiatri stiano diventando una specie in via di estinzione. Ma ciò che dovremmo fare è cogliere l’essenza del problema e tradurre il possibile rischio in un’opportunità evolutiva.”

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