Gli psichiatri sono una specie in via di estinzione? (II)

Antonio Maone*

La crisi c’è, ma è evolutiva

Lo stesso numero di World Psychiatry che ospita il Forum di cui abbiamo scritto nella prima parte, è aperto da un editoriale di Mario Maj [1], dell’Università di Napoli, e all’epoca Presidente della WPA, nel quale l’autore esordisce ammettendo che “potrebbe essere vero, come afferma Katschnig, che gli psichiatri stiano diventando una specie in via di estinzione. Ma ciò che dovremmo fare è cogliere l’essenza del problema e tradurre il possibile rischio in un’opportunità evolutiva.”

Questa è la sostanza del commento di Maj, il quale poi si sofferma sulla questione dei molteplici orientamenti teorici in psichiatria, e sostiene a questo proposito che ciò sia l’inevitabile riflesso della complessità bio-psico-sociale dei disturbi mentali, che richiede un approccio altrettanto complesso. Ma se, da una parte, questa dialettica può diventare fertile e opportuna, “il fanatismo distruttivo dovrebbe essere invece attivamente scoraggiato (piuttosto che applaudito, come purtroppo spesso accade)”.

Mario Maj prosegue poi replicando sulle questioni ricordate da Katschnig a proposito della diagnosi: “E’ vero che i criteri diagnostici per i disturbi mentali cambiano nel corso del tempo, e che abbiamo due sistemi diagnostici in competizione fra loro. Ma è proprio vero che ciò stia scuotendo le fondamenta della nostra pratica clinica? Io credo di no. Non credo che i clinici siano attualmente disorientati in merito a ciò che è schizofrenia o depressione, o che stiano in impaziente attesa della nuova edizione dei due sistemi diagnostici. I principali concetti diagnostici in psichiatria hanno mostrato una notevole stabilità per decenni: considerando che si tratta di ‘convenzioni arbitrarie’, hanno funzionato straordinariamente bene (e molte migliaia di pazienti hanno tratto beneficio dalla loro definizione). Ciò non significa ovviamente che questi concetti non debbano essere ridefiniti; molti clinici certamente apprezzeranno future opportunità di rendere i loro giudizi diagnostici più articolati e personalizzati, e avranno piacere di assistere a quella rinascita della psicopatologia che è stata ripetutamente invocata negli ultimi anni.”

Per ciò che riguarda la questione dei farmaci, Maj replica che “sono molto solidi i fondamenti empirici del loro utilizzo, e hanno tenuto alla prova del tempo in un contesto che è stato del tutto sfavorevole.” I farmaci “hanno cambiato e cambieranno in meglio la vita di migliaia di persone. Certamente, se usati appropriatamente, come uno specialista ben formato sa fare”. E, in merito ai conflitti di interesse con l’industria farmaceutica, auspica che venga adottato un sistema che “assicuri che, per ogni nuovo antipsicotico o antidepressivo introdotto, almeno uno studio debba essere condotto da un’ente indipendente dalla azienda che produce il farmaco”. E conclude: “Mi piace l’articolo di Katschnig, ma non condivido il suo sottostante pessimismo. Se la psichiatria sta attraversando una crisi, si tratta, secondo me, di una crisi evolutiva. Il nostro futuro è nelle nostre mani, più che in quelle dei nostri pazienti o dei politici. Smettiamola di incolparci e combatterci a vicenda, e lavoriamo insieme per migliorare la realtà e l’immagine della nostra professione”.

E’ intervenuto nel Forum anche un altro psichiatra illustre, Assen Jablensky [2], che condivide le preoccupazioni di Katschnig, sottolineando il problema della cronica carenza di psichiatri nei paesi in via di sviluppo, che priva gran parte dei malati psichici perfino della più basilare assistenza; e ricorda anche l’analoga carenza in paesi come Regno Unito, Stati Uniti e Australia, dove “il sistema di salute mentale pubblico sarebbe andato incontro al collasso se le posizioni vacanti non fossero state riempite dai molti psichiatri immigrati provenienti da paesi a basso o medio reddito”.

In merito al problema delle basi di conoscenza della psichiatria, Jablensky ritiene che non si tratti tanto di una “regressione”, quanto piuttosto di una perdita di competitività rispetto ad altre branche della medicina, che sono divenute sempre più “molecolari” e quindi più attraenti e intellettualmente stimolanti per le giovani menti. “Questo processo non c’è stato per la psichiatria. Quasi mai un progresso nelle neuroscienze o nella genetica si traduce in strumenti per la pratica clinica, in markers delle malattie, in nuovi trattamenti o in nuovi paradigmi concettuali per la comprensione della natura dei disturbi mentali. Malgrado le iperboliche false promesse che vengono periodicamente annunciate circa imminenti svolte fondamentali, i guadagni in termini di reali conoscenze delle basi genetiche e neurobiologiche dei disturbi mentali gravi sono state modeste, mentre l’incombente complessità del compito appare sempre più lampante.

Così, mentre la teoria e la pratica della psichiatria non si possono ancora permettere di rivendicare un solido ancoraggio nella neurobiologia e nella genetica, […] quel corpo di conoscenze e abilità che includono la psicopatologia e la fenomenologia clinica sono nel frattempo divenute un oggetto esoterico per molti (se non la maggior parte) degli studenti di medicina e degli specializzandi in psichiatria. […] E se da una parte il DSM-IV e l’ICD-10 sono assolutamente utili allo scopo specifico della comunicazione, essi non rappresentano un surrogato dell’acume clinico. La convinzione che l’adozione di criteri quasi-operazionali abbia una volta per tutte risolto il problema dell’affidabilità della diagnosi psichiatrica, può risultare illusoria, dal momento che la validità del riconoscimento dei sintomi e dei segni nella pratica clinica quotidiana può rivelarsi discutibile. Questa tendenza della psichiatria clinica ad allontanarsi dalle sue radici nella psicopatologia e nella fenomenologia è rinforzata dal crescente dominio del managerialismo nell’organizzazione e nella valutazione dell’assistenza psichiatrica, rendendo la pratica clinica quotidiana intellettualmente ed emotivamente deludente o semplicemente noiosa.

Ma se da una parte le osservazioni di Katschnig, e i commenti che ho aggiunto, sembrano dipingere il quadro piuttosto desolante di una psichiatria in crisi, io resto ottimista sul futuro. La via da seguire per la nostra professione guarda alla necessità di reclamare con forza la solida “base di conoscenze” della psicopatologia, che tenga insieme le due prospettive di “comprensione” e “spiegazione” della malattia mentale, e che sia in grado di integrare dinamicamente nuovi concetti, dati e progressi tecnologici da campi in continua evoluzione come le neuroscienze, la genetica e l’epidemiologia. Dopotutto, citando L. Eisenberg, ‘la psichiatria resta l’unica specialità medica con un interesse persistente al paziente come persona, in un’epoca sempre più dominata da sotto-specializzazioni mediche basate sull’organo’.”

Anche Nick Craddock [3], che dirige un gruppo di ricerca sulla genetica dei disturbi psicotici e dell’umore all’Università di Cardiff (Gran Bretagna), condivide il timore di Katschnig circa il rischio di estinzione degli psichiatri e non contesta nel merito le sue osservazioni circa i limiti della diagnosi e dei trattamenti.

(Fra l’altro, Craddock ha successivamente pubblicato su Lancet, nel 2013, un articolo [4] sulla genetica del disturbo bipolare, in cui sostiene, alla luce di recenti studi genetici su larga scala, la necessità di rivedere la dicotomia kraepeliniana fra schizofrenia e disturbi dell’umore e quindi le attuali classificazioni diagnostiche.)

Nonostante non neghi la legittimità delle osservazioni di Katschnig, Craddock ribadisce nel Forum il suo punto di vista, già fortemente espresso in un editoriale, apparso nel 2008 sul British Journal of Psychiatry a firma sua e di altri 26 eminenti psichiatri inglesi [5].

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Questo articolo, su cui ora ci soffermeremo brevemente, intitolato Un campanello d’allarme per la psichiatria britannica, suona come un potente richiamo all’urgenza di ricondurre la psichiatria nell’alveo biomedico, in evidente reazione alle politiche che il governo britannico ha sostenuto negli ultimi anni, caratterizzate dall’insistenza sugli aspetti personali e sociali della malattia mentale e quindi sulla priorità del supporto psicosociale. Craddock e colleghi, pur riconoscendo l’importanza di questo approccio, ritengono che ciò rischi di declassare gli aspetti medici della cura e di enfatizzare invece le pratiche aspecifiche e nebulose del supporto psicosociale. E ciò comporta un’esplicita accusa ai molti colleghi britannici di “collusione” con le politiche governative, che costituirebbe, in prospettiva, un danno irreparabile allo statuto e all’immagine pubblica della psichiatria, e soprattutto ai pazienti.

Alcuni brani di questo editoriale del 2008 sono molto significativi, ed entrano di fatto nella discussione oggetto del Forum del 2010. A proposito, per esempio, dell’uso politicamente corretto del termine service user, anziché patient, gli autori ne adombrano gli aspetti mistificanti, dal momento che, in una ricerca da loro citata, risulterebbe che il 67% dei pazienti preferisca il termine patient, e solo il 9% quello di service user.

Sarebbe quindi interesse dei pazienti e delle loro famiglie la piena medicalizzazione dei disturbi mentali gravi (un accurato processo diagnostico, l’individuazione di trattamenti evidence-based ecc., in cui sia centrale il ruolo dello psichiatra): evitarla sarebbe nel migliore dei casi confusivo, nel peggiore dei casi dannoso o perfino letale. “C’è il rischio concreto che, mentre aumenta costantemente la comprensione della complessità delle malattie umane, le tendenze recenti a mettere in secondo piano gli aspetti biomedici in psichiatria penalizzino ulteriormente i pazienti con disturbi mentali, rispetto a quelli affetti da altre malattie”.

“La psichiatria è viva e vegeta”

Gli altri commenti ospitati nel Forum sono su posizioni generalmente ottimistiche. Tutti sembrano ammettere con Katschnig l’attualità delle “sfide” da egli delineate. Ma ribattono generalmente con argomenti che spesso sembrano saltare a piè pari il merito delle questioni sollevate e si appellano a considerazioni che a tratti rivelano una notevole genericità se non superficialità, a volte scadendo in un registro retorico da bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto.

Crisis? What Crisis?Supertramp (1975)

“Crisis? What Crisis?”  Supertramp (1975)

Felice Lieh Mak [6], dell’Università di Hong Kong e Past President WPA, per esempio, sostiene che è vero che vengono pubblicati preferenzialmente studi che comprovano l’efficacia degli psicofarmaci, piuttosto che quelli che non la provano. Ma perché sorprendersi? Si tratta di un modo legittimo di difendersi dall’attacco dei media contro la psichiatria! Ci sono seri dubbi sull’efficacia degli psicofarmaci? Sì, ma non bisogna arrendersi, la ricerca continuerà…

Altri replicano che la psichiatria stia solo attraversando le stesse vicende che in passato hanno attraversato altre branche della medicina, e ne uscirà ancora più forte: l’Età dell’Oro della psichiatria è nel prossimo futuro…

* Psichiatra, Dipartimento di Salute Mentale ASL Roma/A, via Sabrata 12 – 00198 Roma

Bibliografia

1.  Maj M. (2010). Are psychiatrists an endangered species? World Psychiatry, 9, pp. 1-2

2.  Jablensky A. (2010). Psychiatry in crisis? Back to fundamentals.World Psychiatry, 9, p. 29.

3.  Craddock N. & Craddock B. (2010). Patients must be able to derive maximum benefit from a psychiatrist’s medical skills and broad training. World Psychiatry, 9, pp. 30-31.

4.  Craddock N. & Sklar P. (2013). Genetics of bipolar disorder. The Lancet, 381, pp. 1654 – 1662.

5.  Craddock N., Antebi D., Attenburrow M.-J., Bailey A., Carson A., Cowen P., Craddock B., Eagles J., Ebmeier K., Farmer A., Fazel S., Ferrier N., Geddes J., Goodwin G., Harrison P.,Hawton K., Hunter S., Jacoby R., Jones I., Keedwell P., Kerr M., Mackin P., McGuffin P.,MacIntyre D.J., McConville P., Mountain D., O’Donovan M.C., Owen M.J., Oyebode F.,Phillips M., Price J., Shah P., Smith D.J., Walters J., Woodruff P., Young A. & Zammit S.(2008). Wake-up call for British psychiatry. British Journal of Psychiatry, 193: 6-9. DOI:10.1192/bjp.bp.108.053561.

6.  Lieh Mak F. (2010) Psychiatrists shall prevail. World Psychiatry, 9, pp. 38-39.

One Thought on “Gli psichiatri sono una specie in via di estinzione? (II)

  1. lodovico depretis psichiatra on 23 settembre 2014 at 5:58 pm said:

    con un po’ più’ di umiltà’ cerchiamo di far vivere meglio i nostri pazienti ,imparando ad usare nel modo più’ adeguato un buon strumento (uno dei pochi a nostra disposizione) che sono i farmaci. il frequente impatto con il nostro senso di impotenza ci porta talvolta a perdere la fiducia e la considerazione circa il senso del nostro ruolo che a mio avviso rimane quello terapeutico , non sostanzialmente diverso da quello di altre branche mediche. la fuga nella ideologia,nel fanatismo di qualunque natura sono secondo me un pessimo meccanismo di difesa rispetto alle grandi difficoltà e aleatorietà proprie del nostro lavoro. questo mi viene da dire anche a costo di apparire “generico e superficiale come un bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto”

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