Gli psichiatri sono una specie in via di estinzione? (I)

Antonio Maone*

Da qualche anno si è aperto un dibattito su una possibile “crisi” della psichiatria come disciplina medica e sulla reale consistenza delle sue basi scientifiche. Non si tratta affatto di prese di posizione ideologiche attribuibili a movimenti più o meno anti-psichiatrici, bensì di voci che si sono sollevate, anzi, dall’interno del mondo accademico e professionale.

Nel febbraio 2010, un numero della rivista World Psychiatry, organo ufficiale della World Psychiatric Association (WPA), ospitava un Forum dal titolo davvero provocatorio: “Are psychiatrists an endangered species?” (Gli psichiatri sono una specie in via di estinzione?), aperto da un intervento di Heinz Katschnig, dell’Università di Vienna [1]

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Katschnig prende spunto da un capitolo dell’edizione del 2009 del monumentale New Oxford Textbook of Psychiatry (Editors: Gelder, Lopez-Ibor e Nancy Andreasen) scritto da Paul Pichot (Past President WPA e autorità riconosciuta nel campo della storia della psichiatria), in cui si parla esplicitamente di una possibile crisi della psichiatria, ovvero del rischio che essa venga assorbita all’interno di altre branche della medicina, o che venga deprivata del suo stesso statuto di disciplina medica [2]. Katschnig cita a questo proposito il dibattito apparso negli ultimi anni su varie riviste circa il dubbio che la psichiatria “possa sopravvivere nella seconda metà del XXI secolo”[3] e circa l’evidenza di “un notevole pessimismo e di un senso di inquietudine diffuso fra gli psichiatri” [4]. Un ulteriore segnale è rappresentato dalla scarsità del numero di psichiatri in molti paesi per effetto del declino dell’interesse dei giovani medici verso la psichiatria [29], fenomeno che rimanda a prese di posizioni in cui ci si chiede addirittura semmai la psichiatria debba oggi ancora “esistere”, [5] o alle pressioni da parte dei neurologi affinché il termine “malattie mentali” venga sostituito da “malattie cerebrali” [6].

Katschnig ritiene improbabile che ciò rifletta solo opinioni personali o problemi locali, e prosegue individuando sei sfide alla professione: tre provengono dall’interno e tre dall’esterno.

Sfide esterne. Diminuita fiducia nella base di conoscenze (knowledge base): diagnosi e classificazione

 “La categorizzazione e la classificazione delle malattie è fondamentale per molti aspetti della medicina, inclusa la psichiatria come specialità medica: per prendere decisioni nel trattamento, per fini didattici, per il rimborso delle prestazioni, per definire popolazioni di pazienti nella ricerca, per interpretarne i risultati ecc.

In psichiatria abbiamo la situazione ambigua di due differenti sistemi diagnostici: in ogni stato membro, l’OMS richiede che alla dimissione di un paziente dall’ospedale venga indicata una diagnosi tratta dal V Capitolo dell’ICD-10. Tuttavia, per una ricerca in psichiatria che aspiri a essere pubblicata su una rivista ad alto impact-factor, è consigliabile utilizzare il DSM-IV. […]

Questo parallelismo è possibile a causa della particolare natura delle definizioni nella maggior parte delle diagnosi psichiatriche: esse si basano su criteri fenomenologici, quali i segni e i sintomi e il loro decorso, che comitati di esperti combinano in modo variabile all’interno di categorie di malattie mentali che peraltro sono state continuamente definite e ridefinite nel corso degli ultimi cinquant’anni. La maggior parte di queste categorie diagnostiche non sono validate da criteri biologici come invece avviene per la maggior parte delle diagnosi nelle altre branche della medicina. Tuttavia, sebbene definite “disturbi” (disorders), esse appaiono simili alle diagnosi mediche, fingendo così che esse corrispondano a “malattie” (diseases, ovvero disturbi di cui è noto il correlato biologico). […]

L’approccio introdotto col DSM-III di creare “definizioni operazionalizzate” (per esempio, “2 di 5 sintomi di una lista devono essere presenti”) ha certamente reso più “attendibile” (reliable) il processo di arrivare a una diagnosi, nel senso che ci permette di essere certi che differenti psichiatri, utilizzando gli stessi criteri, possano giungere alla stessa diagnosi. Ma l’attendibilità è una cosa diversa dalla validità. […]

Se cinquant’anni fa questo tipo di critiche proveniva dall’esterno della psichiatria, oggi, mentre l’attacco continua, le discussioni circa la validità della diagnosi sono arrivate al cuore della nostra professione. Per esempio, oggi alcuni psichiatri parlano di “decostruzione genetica della psicosi” [7], di perdita di validità delle diagnosi malgrado la loro utilità, di scarsa stabilità diagnostica dei disturbi psichiatrici. Gli psichiatri che si occupano di genetica affermano di “dover usare una tecnologia da Guerre Stellari per lavorare con diagnosi ottenute utilizzando l’arco e la freccia”. […]

Inoltre, nella pratica clinica, l’utilizzo selettivo di farmaci è solo vagamente correlato alla diagnosi (per esempio, gli antidepressivi, ma anche gli antipsicotici, vengono usati per un ventaglio molto ampio di condizioni morbose); e nei servizi psichiatrici di comunità le diagnosi sono prevalentemente utilizzate per l’allocazione di risorse, mentre nel lavoro di routine con i pazienti vengono generalmente impiegate classificazioni differenti [8].

Il risvolto inquietante di questo discorso è che se è vero che le nostre categorie diagnostiche finora non hanno raggiunto la validità, la ricerca di ogni tipo (epidemiologica, eziologica, patogenetica, terapeutica, biologica, psicologica o sociale) che abbiamo condotto utilizzando queste diagnosi, potrebbe analogamente non essere ritenuta valida.”

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Sfide esterne. Diminuita fiducia nella base di conoscenze (knowledge base): le terapie

 “Viviamo nell’epoca della medicina basata sulle evidenze. Vengono elaborate linee guida, basate su meta-analisi e revisioni sistematiche di studi accuratamente selezionati e metodologicamente rigorosi, che diventano prescrittive. Non possiamo più accontentarci della mera esperienza clinica. Ma quanto possiamo sentirci realmente sicuri delle nostre decisioni terapeutiche? Quando è stata pubblicata nel 2008 una meta-analisi di studi sugli antidepressivi [8] che veicolava il messaggio che nelle depressioni di lieve e moderata gravità questi farmaci non sono superiori al placebo, la notizia ha fatto il giro del mondo immediatamente [9]. Uno studio analogo ha poi confermato questo risultato, sollevando un dibattito all’interno della psichiatria [10]. Il fatto che gli studi che ottengono risultati positivi vengono più spesso e più rapidamente pubblicati di quelli con risultati negativi è divenuta una seria preoccupazione, non solo in psichiatria ma nell’intero campo della medicina [11].

Un’altra questione riguarda le critiche ai limiti degli studi randomizzati e controllati nella schizofrenia, che ha indotto a proporre studi “pragmatici” o “nel mondo reale”. I risultati di questi studi non dimostrano la superiorità degli antipsicotici di seconda generazione rispetto a quelli di prima generazione [12, 13].

E’ evidente che questi dati generano una crescente incertezza, anche perché – data la scarsa validità delle diagnosi psichiatriche e la difficoltà di ottenere campioni omogenei di pazienti – non si può essere certi che i vecchi studi fossero sbagliati e quelli recenti più corretti. Quando tentiamo di formulare linee guida per la pratica clinica basate sulle evidenze, ci imbattiamo in una inerente contraddizione della metodologia degli studi randomizzati e controllati: cercare di ottenere negli studi la validità interna comporta che i risultati non possono poi essere facilmente generalizzati al mondo reale, mentre, se cerchiamo di ricorrere ad una più alta rappresentatività [attraverso studi nel “mondo reale”, quindi con una scarsa selezione dei campioni] perdiamo il rigore metodologico.

E’ stato suggerito, a questo proposito, di produrre due valutazioni parallele: quella usuale degli studi di efficacia con campioni altamente selezionati e quella, comprovante, relativa alla trasferibilità di questi risultati nel mondo reale. Ma un’altra questione correlata a ciò è che le poli-terapie o la combinazione di diversi tipi di trattamento è comune nella pratica clinica, e le evidenze più importanti si ottengono solo con le mono-terapie.

In aggiunta a questi problemi, i conflitti di interesse che emergono nelle relazioni fra medici e industria farmaceutica [14] sollevano ulteriori dubbi [15]. Recentemente, il problema dei “ghost-writings” ha attirato una crescente attenzione sulla questione della “credibilità”, nella comunità scientifica, da parte della politica e dei media [16]. [La questione dei “ghost-writing” riguarda il fatto che un numero significativo di studi sull’efficacia dei trattamenti viene pubblicato, surrettiziamente, non solo in psichiatria, con il nome di autori non direttamente legati all’industria farmaceutica, al posto degli effettivi autori degli studi, i quali invece dovrebbero rendere noto il loro conflitto d’interesse, che in questo modo viene tenuto nascosto].

Se a tutto questo si aggiungessero le preoccupazioni circa gli interventi psicoterapeutici e i loro effetti indesiderati [17], noi, i nostri pazienti e l’opinione pubblica diventeremmo sempre più incerti in merito alla veridicità delle prove a sostegno del fatto che i nostri interventi professionali funzionino adeguatamente”.

Sfide interne. Mancanza di basi teoriche coerenti

 Chiedi a tre psichiatri, otterrai quattro risposte. Ho sentito pronunziare cose del genere, con diverse varianti, da politici e amministratori, come scuse per non concedere risorse per l’assistenza psichiatrica. […] E’ lapalissiano che la psichiatria è frammentata in molteplici correnti e sotto-correnti di pensiero. Dato che una base di conoscenze condivise è un criterio di definizione essenziale per ogni professione, questa frammentazione rappresenta una seria minaccia alla coerenza della nostra professione. […] Ogni approccio tende a competere con gli altri ed ha il suo proprio corpo di conoscenze, i suoi congressi e le sue riviste. […]”

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Frontespizio della pubblicazione di  Johann Christian Reil (1808) in cui viene per la prima volta utilizzato il termine “Psichiatria”

 

Sfide esterne: insoddisfazione dei pazienti

 “[…] Sebbene le critiche alla psichiatria rivolte dall’interno del mondo professionale possano essere anche essere considerate come contributi a un suo sviluppo dinamico, l’insoddisfazione dei pazienti rischia invece di essere nociva alla professione. […] Essa copre un ampio spettro di posizioni: dal concetto di “sopravvissuti della psichiatria” [18], che implica che la psichiatria “non dovrebbe esistere affatto”, ad altre forme di insoddisfazione che criticano la psichiatria “per come è”. Internet oggi consente alle persone sottoposte a trattamenti psichiatrici di scambiare le proprie esperienze. E molte di queste storie personali sono negative, oltre a quelle positive, e diventano pubbliche in tutto il mondo [19, 20]. Le questioni sollevate sono molteplici: dalla diagnosi al trattamento farmacologico, dalle misure coercitive alla scarsa attenzione alla qualità della vita dei pazienti. Anche i familiari manifestano insoddisfazione, sebbene da prospettive diverse da quelle dei pazienti.

Organizzazioni di auto-aiuto vengono create ovunque, dai clients e dai familiari [21, 22]. Queste iniziative sono divenute rilevanti non solo in termini di empowerment e di autostima […], ma anche a livello politico, laddove, con la cooperazione di politici e amministratori della sanità, esse entrano in gioco nei processi di pianificazione dei servizi.

Molti gruppi di utenti e di organizzazioni oggi si rivolgono al concetto di recovery, che viene sempre più invocato come principio-guida per le politiche di salute mentale in molti paesi anglofoni. Qualcuno sostiene che si tratti di un consenso solo sul piano teorico e richiama la necessità di distinguere la recovery “clinica” da quella “personale”, e la recovery come “esito” dalla recovery come “processo” [23]. Il focus sui bisogni dei pazienti e sul loro coinvolgimento è ora sostenuto da organizzazioni internazionali quali le Nazioni Unite [24], la Commissione Europea [25], il Consiglio d’Europa [26], l’OMS [27].

Il mondo professionale della psichiatria ha anche contribuito a questa prospettiva. Per esempio sono state pubblicate linee-guida per una “migliore assistenza in salute mentale”, in cui è data pari importanza all’etica, all’evidenza e all’esperienza, inclusa l’esperienza degli utenti, e in cui la questione della qualità della qualità della vita è presa in considerazione. Ma le critiche da parte degli utenti continuano.

Sfide esterne. Competizione da parte di altre professioni

Oltre a definire le loro basi di conoscenza e ampliare il loro campo di competenza, le professioni vigilano attentamente contro possibili “intrusioni” [28]. Nell’era post-moderna, che ha comportato il potenziamento dell’idea di competenza professionale, si affacciano sempre più “intrusi” nel territorio che la psichiatria reclama per se stessa. E, intenzionalmente o meno, al fine di attrarre pazienti, essi spesso strumentalizzano lo stigma associato all’essere curati da uno psichiatra.

Sul versante medico, sono i neurologi, i medici generalisti e quelli che praticano approcci alternativi che competono con gli psichiatri. Per esempio, in molti paesi, il volume di prescrizioni di antidepressivi è molto più ampio nella medicina generale che nella psichiatria. […] Psicologi, psicoterapeuti, e anche altre professioni, contribuiscono ulteriormente ad accrescere ulteriormente i gruppi professionali che competono con gli psichiatri.” […]

Sfide esterne. Immagine negativa della psichiatria

[…] “Ogni psichiatra sa che c’è qualcosa di speciale nella rappresentazione che la gente ha di questa professione. […] Molti di questi stereotipi negativi possono essere fatti risalire a quando gli psichiatri lavoravano ancora prevalentemente nei grandi manicomi, lontani dalla vita normale, e ciò poteva far ritenere che fossero diventati essi stessi persone strane e non molto dissimili dai loro pazienti. E’ stato ipotizzato che questa rappresentazione negativa possa giocare un ruolo nella decisione degli studenti di medicina di non scegliere di intraprendere la specializzazione in psichiatria o di abbandonarla dopo averla scelta. Giovani medici che in Inghilterra hanno scelto e poi abbandonato la psichiatria spesso concordano con l’affermazione che la psichiatria ha un’immagine pubblica negativa e dichiarano che non si erano sentiti sufficientemente rispettati dai colleghi di altre discipline [29, 30]. In alcuni paesi lo scarso appeal della professione ha determinato una vera e propria carenza di psichiatri, soprattutto nei servizi pubblici.

[…] La stigmatizzazione degli psichiatri è molto meno indagata di quella dei loro pazienti. Ed è significativo che la World Psychiatric Association stia attualmente finanziando un progetto di ricerca sulla ‘stigmatizzazione della psichiatria e degli psichiatri’”[31].

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Il futuro della psichiatria

“Molti potrebbero sostenere che la nostra disciplina abbia accresciuto il suo status grazie alla notevole mole di conoscenze acquisite nelle ultime decadi. Tuttavia, ci sono indicazioni che la base di conoscenze sulla diagnosi e le terapie attraversi una crisi di credibilità e che la coerenza della nostra disciplina sia di fatto minacciata dell’esistenza di sottogruppi ideologici.

Inoltre, siamo sempre più criticati dai nostri pazienti e dai loro familiari (con Internet che offre nuove possibilità a questo scopo); altre professioni reclamano segmenti del nostro campo di competenze; e la nostra immagine nella società e nella medicina è meno positiva di quanto molti di noi pensano. Perciò, per un osservatore esterno, molti dei criteri che definiscono una professione sono a rischio. […]

Forse proprio in reazione alle sfide finora descritte, stiamo assistendo a un processo di ‘scrematura’, con nutriti sottogruppi di psichiatri che vanno concentrandosi su segmenti di attività più specifici, intellettualmente ed economicamente più remunerativi, e che spesso comportano una minore stigmatizzazione della professione, più alto status, più possibilità di carriere universitarie, e uno stile di vita più controllabile e regolare. Lasciando così ad altri i compiti meno gratificanti, quali l’occuparsi dei pazienti con comportamenti violenti o a rischio suicidario, o di quelli con disturbi gravi e persistenti e con dipendenze da alcol o droghe.” […]

* Psichiatra, Dipartimento di Salute Mentale ASL Roma/A, via Sabrata 12  00198 Roma

[Fine della prima parte. Nella seconda parte: risposte a questo editoriale e sintesi del dibattito]

Bibliografia

  1. Katschnig H (2010) Are psychiatrists an endangered species? Observations on internal and external challenges to the profession. World Psychiatry, 9:21-28)
  2. Pichot P. The history of psychiatry as a medical profession. In: Gelder MG, Lopez- Ibor JJ, Andreasen N et al (eds). New Oxford textbook of psychiatry, 2nd ed. Oxford: Oxford University, pp. 17-27.
  3. Malhi G.S. (2008) Professionalizing psychiatry: from ‘amateur’ psychiatry to a mature profession. Acta Psychiatr Scand, 118: 255-8.
  4. Brown N, Bhugra D. (2007) ‘New’ professionalism or professionalism derailed? Psychiatr Bull, 31:281-3.
  5. Poole R, Bhugra D. (2008) Should psychiatry exist? Int J Soc Psychiatry; 54:195-6.
  6. Baker M, Menken M. (2001) Time to abandon the term mental illness. BMJ; 322:937.
  7. Owen MJ, Craddock N, Jablensky A. (2007) The genetic deconstruction of psychosis. Schizophr Bull; 33:905-11.
  8. Dobransky K. (2009) The good, the bad, and the severely mentally ill: official and informal labels as organizational resources in community mental health services. Soc Sci Med; 69:722-88.
  9. Kirsch I, Deacon BJ, Huedo-Medina TB et al. (2008) Initial severity and antidepressant benefits: a meta-analysis of data submitted to the Food and Drug Administration. PLoS Med; 5:260-8.
  10. Turner EH, Matthews AM, Linardatos E et al. (2008) Selective publication of antidepressant trials and its influence on apparent efficacy. N Engl J Med; 358:252-60.
  11. Mathew EJ, Charney DS. (2009) Publication bias and the efficacy of antidepressants. Am J Psychiatry; 166:140-5.
  12. Lieberman JA, Stroup TS, McEvoy JP et al. (2005) Effectiveness of antipsychotic drugs in patients with chronic schizophrenia. N Engl J Med; 353: 1209-32.
  13. Jones PB, Barnes TRE, Davies L et al. (2006) Randomized controlled trial of the effect on quality of life of second- vs first-generation antipsychotic drugs in schizophrenia. Cost utility of the latest antipsychotic drugs in schizophrenia study (CUtLASS 1). Arch Gen Psychiatry; 63:1079-87.
  14. Schowalter JE. (2009) How to manage conflicts of interest with industry? Int Rev Psychiatry; 20:127-33.
  15. Dunbar CE, Tallman MS (2009) ‘Ghostbusting’ at Blood. Blood; 113:502-3.
  16. Singer N, Wilson D (2009) Medical editors push for ghostwriting crackdown. New York Times, 18 September 2009.
  17. Berk M, Parker G. (2009) The elephant on the couch: side effects of psychotherapy. Aust N Z J Psychiatry; 43:787-94.
  18. European Network of (ex-)Users and Survivors of Psychiatry. www.enusp.org
  19. Alaska Mental Health Consumer Network. Recovery stories. akmhcweb.org.
  20. InfoScotland. www.wellscotland.info
  21. Intervoice. www.intervoiceonline.org.
  22. European Federation of Associations of Families of People with Mental Illness. www.eufami.org
  23. Slade M, Amering M, Oades L. (2008) Recovery: an international perspective. Epidemiol Psichiatria Soc; 17:128-37.
  24. Office of the United Nations High Com- missioner for Human Rights. Convention on the rights of persons with disabilities. www2.ohchr.org.
  25. European Union. European pact for mental health and well-being. ec.europa.eu.
  26. European Health Committee. Recommendation CM/Rec(2009)3 of the Committee of Ministers to member states on monitoring the protection of human rights and dignity of persons with mental disorder. wcd.coe. int.
  27. World Health Organization Regional Office for Europe. Mental health declaration for Europe: facing the challenges, building solutionswww.euro.who.int.
  28. Whitley R. (2008) Postmodernity and mental health. Harv Rev Psychiatry; 16:352- 64.
  29. Tamaskar P, McGinnis R. (2002) Declining student interest in psychiatryJAMA; 287:1859.
  30. Lambert TW, Turner G, Fazel S et al. (2006) Reasons why some UK medical graduates who initially choose psychiatry do not pursue it as a long-term career. Psychol Med; 36:679-84.
  31. Maj M. (2009) The WPA Action Plan is in progress. World Psychiatry; 8:65-6.

One Thought on “Gli psichiatri sono una specie in via di estinzione? (I)

  1. Massimo Pelli on 3 luglio 2014 at 10:26 am said:

    molto interessante
    da leggere più attentamente

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